ACCEDI
Logo USI

Intervista al Dott. Marco Sperone, la storia di U.S.I.

Un ricordo ed un tributo al fondatore dell’Unione Sanitaria Internazionale, il Dottore Luigi Sperone.
Michele Trecca a colloquio con il Dottore Marco Sperone.
 
Luigi Sperone "I benefici delle grandi idee sopravvivono nel tempo così come il ricordo degli uomini che le hanno avute".
Ogni vita è unica, tutte sono speciali. Certe però lo sono ancora di più. Le guardi e ci vedi dentro un mondo che non c'è più, che se n'è andato via con loro. Perciò è giusto ricordarle, quelle vite, al di là dell’affetto. Il dottor Luigi Sperone era una persona così, un cittadino del proprio tempo. Nato nel '24, dentro la sua storia si può leggere in filigrana una Storia più grande: quella di un Paese "severo ma entusiasta" che aveva addosso l'odore della guerra ma dentro principi saldi e una gran voglia di mettere le ali ai propri sogni. L'Italia del dopoguerra ha fatto un volo e sono state persone proprio come il Dottor Sperone a farla decollare. Uomini che hanno identificato il proprio destino nella professione, la propria umanità nella famiglia. Di Luigi Sperone, «pioniere» della diagnostica privata e fondatore dell'Unione Sanitaria Internazionale, recentemente scomparso, ne parliamo con il figlio Marco.


Diceva che suo padre è stato «un pioniere»...
Sì, mio padre è stato un pioniere. Adesso sono attività imprenditoriali ma cinquant'anni fa i laboratori erano attività artigianali. A Roma ne esistevano solo due privati e uno era il nostro. La gestione di tutto il processo analitico era sotto il diretto controllo di mio padre e di mia madre, seguivano ogni fase da soli e all'inizio scrivevano anche i referti.


Come hanno cominciato?
Hanno cominciato in via Squarcialupo, con un laboratorio di tre stanze su una superficie di sessanta metri quadrati. Al giorno facevano quattro o cinque prelievi, con la Lambretta mio padre andava a prendere urine e campioni biologici in farmacia e a domicilio dai pazienti.
E’ stato particolarmente capace di porre attenzione all'evoluzione di ogni aspetto del lavoro diagnostico, elemento fondamentale per impiantare nuove attrezzature e nuove metodiche. Nel nostro lavoro non c'è mai alcuna certezza di una positiva risposta del mercato e il rischio e l’impegno sempre molto alti.

Quando è avvenuta la svolta imprenditoriale?
La svolta imprenditoriale è avvenuta nell’Ottantuno con l'apertura del secondo centro a Casalpalocco. Da una struttura unica gestita completamente dalla proprietà si è passati  all’impiego di altri operatori. Mia madre e mio padre, quindi, hanno abbandonato la manualità per concentrarsi sul controllo finale e sull’ottimizzazione del lavoro.


Come era suo padre sul lavoro?
Mio padre era una persona estremamente seria e corretta. Per lui la parola data era assolutamente vincolante. Teneva moltissimo alla puntualità, in ogni ambito: negli appuntamenti, nei pagamenti del personale e dei fornitori. L'attività professionale lo coinvolgeva al cento per cento e certe volte per un impegno non dormiva la notte.
I primi tempi è stata dura, abitavamo in via Squarcialupo in un appartamento collegato con il laboratorio. I miei genitori facevano letteralmente casa e bottega. Mio padre era sempre presente all’apertura alle sette e trenta, di ritorno dai prelievi a domicilio. Per lui non c’era nulla di più importante del lavoro e della famiglia.

Come ha vissuto suo padre il passaggio dalla fase professionale a quella imprenditoriale?
Non è mai riuscito veramente ad adeguarsi all'idea di una conduzione imprenditoriale. L’imprenditore delega, mio padre, invece, era legato alla concezione professionale del controllo diretto. Quando noi figli abbiamo iniziato a gestire l’azienda ha smesso di seguirne la gestione anche se ha sempre comunque seguito il nostro lavoro. Con sua grande soddisfazione ha visto l’attività ingrandirsi e svilupparsi.


Lei quando ha cominciato?
Io ho cominciato a diciassette anni, appena finito il liceo. Sia io che mio fratello lavoravamo al laboratorio e contemporaneamente seguivamo i corsi all’università.
Mio padre era molto esigente e pretendeva tutte le mattine andassimo all'apertura. Ci alzavamo alle sei e un quarto e stavamo in laboratorio un tempo variabile, a seconda delle necessità, poi ci spostavamo al Policlinico. Il pomeriggio era dedicato allo studio.

Cosa ha imparato insieme a suo padre in laboratorio?
Mio padre faceva consulenza, entrava in ogni aspetto della vicenda sanitaria dei pazienti. Mi ha insegnato come fare i prelievi e gli accertamenti con le analisi. Mi diceva che era importante parlare con ogni persona per capire quale fosse il vero problema da indagare. Mi spronava sempre alla massima serietà nei confronti di tutti e a mantenere fino in fondo gli impegni.
Sia io che mio fratello abbiamo da subito conosciuto direttamente la clientela, all’epoca infatti il rapporto con il paziente era molto confidenziale. Oggi i laboratori sono invasi dai macchinari e il rapporto fra medico e paziente si è ridotto notevolmente.


Vuole ricordare alcune tappe della biografia di suo padre?
Mio padre è nato nel ’24 ad Andria, in provincia di Bari.
Ha frequentato l'università di Perugia e poi è diventato ufficiale medico, distaccato al laboratorio di analisi di Villa Fonseca, al Celio. Proprio lì è iniziata la sua avventura professionale nella diagnostica. Al Celio, infatti, gestiva le domande per ottenere la pensione di guerra, faceva le visite mediche e le analisi necessarie per valutare le domande. È’ rimasto a lavorare lì fino al Settanta mentre con mia madre stava già avviando l'attività privata.